- Jhonathan Ruiz
Colombia: cronache di una riforma tradotta in guerriglia
Sono più di cinque milioni le persone scese in piazza a protestare contro il governo
colombiano. “Paro nacional” (sciopero nazionale) è lo slogan che risuona nelle
strade, dove la tensione sociale si amplifica gradualmente a causa di un’esplosione
di fattori che hanno innescato una pericolosa reazione a catena. L’intero paese
sembra perdere la sua precaria stabilità e le immagini delle città di Bogotà, Cali e
Medellín descrivono teatri di scontri e violenze tra manifestanti e forze
dell’ordine, con la cronaca degli eventi che annota, dopo una settimana di
disordini, una ventina di morti e più di 800 feriti.
La crisi economica e l’iniziativa del governo
Il Departamento Administrativo Nacional de Estadística (DANE) della Colombia
ha accertato un tasso di disoccupazione del 14,2%, e sono circa 21 milioni le
persone che vivono in condizioni di povertà, rappresentando attualmente più del
40% della popolazione totale. Il 6 aprile 2021 il governo colombiano ha chiesto un
aiuto di 11 milioni di dollari al Fondo Monetario Internazionale per garantire una
sicurezza finanziaria ad un paese che in questi giorni sta vivendo le conseguenze
della terza ondata di Covid-19 dall’inizio dell’emergenza sanitaria.
Per contenere la diffusione del virus il governo ha scelto la linea dura del
lockdown totale, ma le misure sanitarie preventive e la chiusura dei settori
economici hanno causato un crollo della produzione, oltre che un calo del reddito
e dei flussi economici in entrata. Dopo un anno e mezzo di pandemia la Colombia,
che prospettava una crescita economica di successo nel territorio latino-americano,
si trova ora con grandi esigenze di liquidità e di credito a tutti i livelli (aziende,
banche, famiglie). I dati evidenziano un forte impatto sull’occupazione e sulla
salute finanziaria delle aziende, e si registra la chiusura di mezzo milione di
attività.
La pandemia ha ridotto la domanda delle esportazioni e ha allontanato il flusso di
capitale a causa di una maggiore percezione del rischio. Tale contesto determina
un deprezzamento della moneta colombiana, un aumento dei tassi di interesse ed
una pesante riduzione dell’attività economica.
L’assoluta necessità di trovare nuove risorse, per tenere in piedi l’economia del
paese e continuare a fronteggiare l’emergenza sanitaria, ha portato
all’elaborazione di una nuova riforma fiscale avanzata dal governo del presidente
Iván Duque Márquez. In un documento di 110 pagine, il Ministero delle Finanze
ha proposto un’iniziativa che secondo la prospettiva dei manifestanti, colpirebbe
duramente una classe media già profondamente in crisi a causa degli effetti
negativi dovuti alla pandemia.
La Reforma Tributaria avrebbe comportato un aumento generale delle imposte
gravando anche sul costo dei servizi pubblici e dei beni essenziali che fino a
questo momento sono stati storicamente esenti dalle imposte statali al fine di
garantirne l’accesso a tutta la popolazione. L’iniziativa prevedeva inoltre
l’allocazione parziale delle risorse necessarie per l’attuazione di programmi di
aiuto sociale verso misure utili a contenere il debito pubblico, andando a minare
quindi le certezze di chi attualmente beneficia di particolari pensioni o di
contributi minimi perché in condizioni di disagio economico.
Da tale progetto il governo Duque intendeva recuperare circa 23 miliardi
di pesos colombiani (circa 5 milioni di euro) sulla base di una serie di certezze:
ampliare la base di riscossione fiscale, impedire un aumento del debito
colombiano, istituzionalizzare il reddito di base.
Tuttavia, le proteste nazionali scoppiate il 28 aprile hanno ostacolato tali certezze
generando una pressione storica che ha costretto il governo a ritirare il progetto il
2 maggio 2021, dopo giorni di disordini in gran parte delle città colombiane.
«Sollecito il Congresso della Repubblica a ritirare il progetto
avanzato dal Ministero delle Finanze e proporre in modo urgente un nuovo
progetto che sia frutto dei consensi» ha dichiarato Duque, ma l’effetto destabilizzante della reazione sociale ha avuto delle conseguenze determinanti
anche all’interno dello stesso governo che ha visto il Ministro delle Finanze
Alberto Carrasquilla rassegnare le proprie dimissioni il 3 maggio 2021.
La notizia del ritiro della riforma ha lasciato spazio alla soddisfazione
dell’opposizione, dei sindacati a ad eventi di Cacerolazos (tradizionali proteste
pacifiche di persone che creano rumore con pentole e tegami) in vari quartieri. Ma
il fenomeno sociale che si è innescato sembra andare oltre alla sola riforma,
alimentandosi di sentimenti di sfiducia e frustrazione nei confronti della classe
politica colombiana.
Le proteste
Il 28 aprile i sindacati nazionali, le organizzazioni sociali e i rappresentanti delle
categorie più colpite dalla crisi hanno guidato uno sciopero nazionale che non ha
avuto difficoltà nello strutturarsi come detonatore di un’esplosione sociale e che in
tempi notevolmente rapidi ha varcato i limiti di una protesta controllabile dallo
Stato. In tutto il paese si sono organizzate manifestazioni pacifiche ed eventi
sociali che hanno coinvolto diversi strati della popolazione. Tuttavia, la gestione
arbitraria dell’ordine pubblico, interessata soprattutto al rispetto delle misure anti-
Covid, ha alimentato la rabbia della frangia più aggressiva dei manifestanti,
generando un vortice di violenze che si sono protratte per i giorni successivi.
L’ESMAD, la squadra antisommossa delle forze dell’ordine colombiane, ha scelto
la strategia repressiva e le immagini, ormai virali sui social, testimoniano forti
forme di abuso di potere. Al tempo stesso, dal lato dei manifestanti si denuncia il
rischio di infiltrazioni di criminalità organizzate o estremisti al punto che più voci
accusano ipotetiche manovre di gestione delle violenze da parte di gruppi come la
FARC e l’Ejército de Liberación Nacional, storici protagonisti dei disordini
colombiani, ma attualmente non ci sono prove che confermino tali tesi.
Nell’era dei social, le testimonianze visive sono diventate virali e comitati di
quartiere si organizzano per proteggere le proprie comunità dalle violenze in atto,
nutrendo progressivamente una certa sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine.
Il ruolo della polizia è un fattore cruciale nella narrazione degli eventi, Amnesty
International accusa la militarizzazione della gestione delle proteste e invita il
governo ad indagare prontamente e in modo imparziale sull’eventuale abuso di
potere che ha causato vittime, sparizioni e detenzioni arbitrarie dall’inizio delle
manifestazioni. Tra le denunce, supportate da registrazioni video, vi sono spari
delle forze dell’ordine ad altezza uomo che rendono la situazione ancor più
insicura e che hanno causato la vittima più giovane delle proteste, 19 anni, proprio
a causa di ferite da arma da fuoco. Tali dinamiche incentivano la presa di posizione di organizzazioni come Human Rights Watch, la quale ricorda alle autorità dello Stato la loro responsabilità di proteggere i diritti umani, compreso il diritto alla vita e alla sicurezza della persona.
Per una corretta chiave di lettura delle tensioni colombiane deve essere tenuta in
considerazione l’esasperazione generata dalle difficoltà economiche e, soprattutto,
il principio di antagonismo che storicamente contrappone la popolazione civile e
le forze di polizia, queste ultime accusate di costanti pratiche di corruzione e di
abuso di potere. In quest’ottica si spiega il motivo per cui tra i principali obiettivi
del vandalismo civile vi siano le CAI, tradizionali stazioni di polizia della
Colombia, dove ogni anno si verificherebbero casi di abuso di potere nei confronti
della popolazione. Secondo l’ONG Temblores si sono verificati una dozzina di
casi di violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza durante le proteste in
Colombia, e la maggior parte di questi atti dovrebbero essersi verificati proprio nei
pressi delle stazioni di polizia.
La dichiarazione di Duque che intende mantenere la linea dura per evitare la
propagazione dei disordini pubblici, sembra non fare altro che alimentare ulteriore
disagio che si aggiunge al fuoco delle proteste. Vi sono comunque continue
iniziative pacifiche di protesta che intendono isolarsi dai fenomeni di violenza, ed
è altrettanto vero che si verificano casi in cui forze dell’ordine decidono di
rispettare tali iniziative garantendo il fondamentale diritto la protesta alla
manifestazione dei cittadini.
Le immagini di questi giorni sono una raccolta di storie ognuna delle quali
raccoglie in sé specifiche realtà, e tra queste si può citare l’agente in antisommossa
che a Bogotà interrompe la repressione fisica dei propri colleghi quando si accorge
che la vittima colpita era il proprio figlio.
La violenza è un fattore pericoloso per la memoria colombiana e gli scenari di
questi giorni risvegliano ricordi che il paese confidava aver superato. Le
dinamiche sono in continua evoluzione e si attendono eventuali sviluppi non solo
da parte del governo ma anche dalla comunità internazionale.