- Meryem Derraa
Le mutilazioni genitali femminili: perché si praticano?
mutilazione genitale femminile (MGF) da una pratica limitata ad alcuni paesi africani è diventata un fenomeno che riguarda anche l’Italia e il Continente europeo.
Secondo un’indagine condotta nel 2016, in Italia sono residenti tra le 60mila e le 81mila ragazze straniere con MGF. Le nazionalità maggiormente colpite sono quella nigeriana e quella egiziana, che insieme costituiscono oltre la metà del collettivo delle donne con mutilazioni genitali. Le MGF, di recente, sono diventate reato anche nel Sudan, che insieme ad altri Paesi sta prendendo l’iniziativa di legiferare per il limitare il fenomeno. Pertanto, ne approfittiamo per fare luce sulle motivazioni alla base di tale pratica e sulle ricadute fisiche e psicologiche che comporta.
In Sudan la nuova legge in vigore punisce chi pratica le MGF con una multa e tre anni di detenzione. Ma, gli esperti avvertono che una legge sola, sebbene sia una buona iniziativa, non è sufficiente ad eliminare del tutto una pratica ormai fortemente radicata, specie nell’Africa Sub Sahariana. Infatti, ad oggi in queste aree l’87 % delle bambine e delle donne tra i 15 e i 49 anni hanno subito mutilazioni genitali.
Di cosa si tratta?
Secondo un nuovo rapporto dell’UNICEF più di 125 milioni di bambine e donne
sono state sottoposte a mutilazioni genitali femminili, una su cinque vive in Egitto.
Nei prossimi dieci anni 30 milioni di bambine rischiano ancora di subire questa
pratica. Anche Somalia, Guinea, Gibuti registrano un’alta prevalenza di
mutilazioni, con più di 9 donne e bambine su 10 tra i 15-49 anni che hanno subito
tale pratica. E non vi è stato alcun calo significativo in paesi come Ciad, Gambia,
Mali, Senegal, Sudan o Yemen. Mentre in altri paesi, invece, le mutilazioni
riguardano una minoranza fino ad arrivare a quote dell’1-4% in paesi come Ghana,
Togo, Zambia, Uganda, Camerun e Niger.

La mutilazione genitale femminile è definita dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità come una “forma di rimozione parziale o totale dei genitali femminili
esterni o altre modificazioni, effettuate perragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”.
L’ OMS ha classificato le mutilazioni genitali in quattro tipi a seconda del livello
di gravità:
Primo tipo: l’escissione circonferenziale del prepuzio della clitoride che è analoga
alla circoncisione maschile. Sebbene tale pratica sia sganciata dalla tradizione
islamica, nei paesi a religione prevalente musulmana essa viene chiamata Sunna, che in arabo rinvia a “regola”, “tradizione”. In questo tipo di MGF si pratica una piccola incisione sul prepuzio del clitoride senza asportarne nessuna parte, limitandosi a far uscire alcune gocce di sangue.
Secondo tipo: l’asportazione del clitoride che può anche includere l’asportazione
di parte o di tutte le piccole labbra.
Terzo tipo: l’infibulazione, detta anche “circoncisione faraonica” implica la
chiusura parziale dell’orifizio vaginale dopo l’escissione di una varia quantità di
tessuto vulvare. Nella sua forma più drastica vengono asportati tutto o parte del
monte di Venere, le grandi e piccole labbra e il clitoride. I due lati della vulva
vengono poi cuciti tra loro con una sutura di modo da ridurre l’orifizio vaginale. In
tale pratica viene lasciato solo un piccolo passaggio per l’emissione del flusso
mestruale e dell’urina. La cicatrice richiusa va a coprire l’uretra e buona parte
della vagina costituendo una barriera fisica per l’attività sessuale. Permane una
piccola apertura posteriore che in genere misura 3 centimetri di diametro ma può
anche essere anche più piccola.
Quarto tipo: in questa ultima categoria vengono racchiuse tutte le pratiche lesive
dell’apparato genitale femminile (ad esempio l’introcisione ossia la dilatazione
traumatica della vagina in preparazione alla prima notte di nozze).

Per quale motivo si pratica la MGF?
È importante domandarsi sul perché dell’esistenza di tale pratica, alla base delle
MGF vi sono fattori come la disuguaglianza di genere, il maschilismo, la
discriminazione sociale, i ruoli e le norme culturali. Fra i motivi più ricorrenti si
include l’idea erronea che le MGF siano una garanzia di verginità, e si ritiene che
l’infibulazione protegga e preservi la castità delle giovani sino al matrimonio. La
verginità in tutte le società tradizionali africane è un prerequisito per il
matrimonio, infatti la prova della verginità è generalmente una parte integrante
della transazione matrimoniale, le ragazze ancora integre vengono considerate
impure e spesso emarginate.
L’origine delle MGF resta un mistero, è comunque una pratica preislamica,
nonostante spesso per confusione viene attribuita erroneamente all’Islam, dato che
è praticata in alcune aree geografiche dove è presente e maggioritario l’Islam.
Probabilmente la MGF era già in uso nell’antico Egitto da dove sarebbe approdata
a Roma (il termine infibulazione deriva dal latino fibula) come misura per
controllare la sessualità delle schiave.
Le mutilazioni vengono effettuate su donne di varia età. Per esempio, presso gli
Ebrei in Etiopia e i nomadi del Sudan vengono mutilate le neonate di pochi giorni
di vita. In Egitto e in Africa centrale si attua sulle bambine di circa sette anni. In
altri Paesi africani la mutilazione si compie su ragazze in età adolescenziale,
mentre in Nigeria le MGF si praticano prima del matrimonio.
Per riassumere, si può affermare che la sofferenza di tutte queste donne è origine
di una pura ignoranza che permette a questa pratica di esistere rispecchiando
l’egoismo maschile nel garantirsi la verginità e l’illibatezza delle spose.
Quali sono le conseguenze?
I rischi associati all’esercizio di queste pratiche sono molteplici e possono
contemplare conseguenze immediate o di lungo termine. Questa pratica provoca
spesso infezioni che possono originare infertilità e complicazioni durante il parto
ed hanno gravi conseguenze sulla salute fisica, psichica e sessuale delle bambine e
delle giovani ragazze che le subiscono.
La vita della donna è messa in pericolo già nell’atto stesso della mutilazione
genitale che condotta, nella maggioranza dei casi, con mezzi non sterili causa
frequentemente alle bambine sottoposte a tali pratiche infezioni anche mortali.
Oltretutto, per due settimane le gambe delle bambine vengono legate insieme per
evitare che, muovendole, si scucia la ferita il che comporta un dolore inenarrabile
ed un trauma che accompagnerà la vittima per tutta la vita. Per giunta, lo scarso
deflusso dell’urina e del sangue mestruale comporta l’insorgenza di cistiti e
frequenti infezioni urinarie. Ulteriori danni si hanno al momento del parto, accade
che muoiano la madre o il bambino come conseguenza della rottura dell’utero.
Le leggi internazionali
Le MGF costituiscono una violazione dei diritti umani delle ragazze e delle donne
dal 1993. Tali pratiche sono da considerare come lesioni volontarie compiute da
parte dei membri “forti” e influenti di un gruppo, che si sentono legittimati,
dall’assenza di leggi o dalla presenza di consuetudini culturali e religiose, a
commettere quelli che vengono considerati veri atti di tortura. Dal ’93 diverse
nazioni presero coscienza del problema e iniziarono a legiferare in merito,
proibendo tali pratiche.
Nel luglio del 2003 l’Unione africana ha adottato il protocollo di Maputo per la
promozione dei diritti delle donne e per chiedere la fine delle MGF. Entrato in
vigore nel novembre 2005, dopo appena tre anni era stato ratificato da 25 paesi
africani. Nel 2013 sono stati 18 i paesi africani ad aver messo al bando qualsiasi
pratica relativa alle mutilazioni genitali femminili (Camerun, Gambia, Liberia,
Mali e Sierra Leone non hanno attuato una legislazione in materia).
La difficoltà, però, sta nel rendere effettiva la legge. Le norme infatti prevedono,
in molti paesi pene severe, ma potrebbero generare pratiche clandestine e illegali, addirittura con
minori condizioni igieniche di quelle, già scarse, in uso negli anni scorsi,
peggiorando dunque la situazione.
«Le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti alla salute, al
benessere e all’autodeterminazione di ogni bambina» ha detto Geeta Rao Gupta,
Vicedirettore esecutivo dell’UNICEF, «ciò che emerge dal rapporto è che le
legislazioni da sole non bastano. La sfida, adesso, è di lasciare che bambine e
donne, ragazzi e uomini levino la loro voce e affermino con chiarezza di rifiutare
questa pratica dannosa».
Il nuovo rapporto dell’UNICEF, infatti, rileva che oltre alla maggior parte delle
ragazze e delle donne che sono contro la pratica, anche un numero significativo
di uomini e di ragazzi la rifiuta. In particolar modo in tre paesi – Ciad, Guinea e
Sierra Leone – sono addirittura più gli uomini che le donne a volere la fine delle
mutilazioni.
Emerge, dunque, che non sono sufficienti soltanto le leggi ma che tutti gli
attori (Governi, Organizzazioni non governative e comunità locali) debbano
promuovere un cambiamento sociale positivo attraverso programmi e politiche
mirate all’eliminazione delle mutilazioni come a tutte le altre forme di violenza
contro i bambini, direttamente o indirettamente legate a norme sociali.