- Vittoria Ferrone
Terrorismo, Francia e separatismo: ricomponiamo il puzzle
In questo 2020 abbiamo assistito ad un’avanzata del Terrorismo in Europa. Anche
se riportare stime precise è difficile, perché difficile è definire con sicurezza se un
attacco è di matrice jihadista o meno, è indubbio che la Francia sia uno dei Paesi
maggiormente colpiti, da sempre nel mirino degli estremisti islamici sia per le
memorie coloniali sia per la questione tanto discussa del “separatismo islamico” e
della “laicità assoluta” della République. Durante la narrazione degli ultimi
attentati, abbiamo ascoltato l’opinione pubblica interrogarsi su temi come
l’immigrazione ed abbiamo visto gli analisti accostare alla figura del Presidente
della Repubblica francese Macron quella del Presidente della Repubblica turca
Erdogan. Perché?
Ripercorriamo brevemente le tappe.
Il 2 settembre 2020 si apre davanti alla Corte d’assise il processo per la strage di
Charlie Hebdo e per l’attentato nel supermercato Hyper Cacher, avvenute
rispettivamente il 7 e 9 gennaio 2015. Gli attacchi jihadisti sono stati perpetrati dai
due fratelli Kouachi e da Amedy Coulibaly, morti tutti il 9 gennaio 2015.
Alla sbarra 14 imputati accusati di ‘aver fornito sostegno logistico’ ai terroristi e 114
testimoni.
L’avvio del processo, oltre le memorie dei tragici eventi che hanno segnato il
Paese, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dell’importanza
della libertà di espressione. Quest’ultimo è un punto fondamentale dal quale
partire.
In Italia, per esempio, è diffusa la concezione secondo la quale “la mia libertà
finisce dove comincia la tua” e per cui vi può essere un limite nel momento in cui
l’irriverenza (o satira) colpisce la religione altrui. Invece, al di là del Monte
Bianco, il tema della libertà di opinione è un caposaldo della cultura francese che
affonda le proprie radici nell’età dei Lumi. Per il popolo francese la libertà di
espressione è storicamente alla base di qualsiasi opposizione a forme di
autoritarismo e non è opinabile, assolutamente non censurabile. Si tratta di una
visione squisitamente francese.
Si delinea da ambe le parti il timore, acuito certamente dall’avvento della
globalizzazione, di vedere la propria cultura sminuita nei confronti dell’altro.
All’interno di questo contesto è estremamente difficile trovare un equilibrio ed il
modello di laicità assoluta adottato dalla Francia, secondo alcuni studiosi, non
aiuta.
Principio di laicità assoluta (Legge del 1905 sulla separazione fra Chiesa e Stato)
Il termine “laico”, attribuito allo Stato, indica la reciproca autonomia ed
indipendenza della sfera del potere religioso e della struttura del potere politico.
L’origine della laicità dello Stato si colloca all’avvento dell’Illuminismo e con la
Rivoluzione francese, e si afferma con la nascita dello Stato liberale e la
separazione rispetto alle istituzioni religiose.
In Francia, la separazione dello Stato dalla religione è assoluta. Lo Stato adotta un
atteggiamento di indifferenza rispetto alla religione che punta alla privatizzazione
della sfera religiosa, la quale rimane un fatto privato, di coscienza. La libertà di
culto è un diritto individuale.
Provando a delineare brevemente un parallelismo con la situazione italiana,
potremmo affermare che in Francia vi è una laicità negativa: la non ingerenza
dello Stato; nella penisola vi è una laicità positiva: l’impegno dello Stato a
rimuovere gli ostacoli che impediscano l’esercizio della libertà di culto. Mentre in
Francia vi è una separazione tra ordini che si ignorano reciprocamente, in Italia vi
è una distinzione, vi è equidistanza e la Chiesa non è esclusa dal ruolo pubblico.
Un modello, questo, che secondo l’opinione di molti esperti acuisce il problema in
quanto non si lega all’atteggiamento delle religioni e, in particolare, dell’Islam di
Francia.
Il 2 settembre la redazione di Charlie Hebdo torna a pubblicare una caricatura su
Maometto, una vignetta inedita dal titolo “Tout ça pour ça” firmata da uno dei
vignettisti vittima dell’attacco del 2015. Il direttore della rivista ha dichiarato che
dal 2015 molte sono state le richieste di produrre nuove caricature di Maometto
ma che la redazione si è rifiutata di farlo, sostenendo “non che sia vietato, la legge
ci autorizza a farlo, ma bisognava avere un buon motivo, una ragione sensata che
contribuisse al dibattito”.

L’avvio del processo è stato per la rivista satirica l’occasione giusta per ribadire
l’importanza del diritto di libertà d’espressione e blasfemia garantiti dalla legge
francese.
Lo stesso Macron ha più volte ribadito che «Depuis les débuts de la Troisième
République il y a en France une liberté de blasphémer qui est attachée à la liberté
de conscience» ed anche il Presidente del Consiglio francese del culto musulmano
ha incoraggiato i fedeli ad ignorare le vignette, affermando che la libertà va garantita.
Però, non sempre ciò che è limpido sul piano normativo lo è anche socialmente e politicamente.
Com’è facilmente prevedibile, infatti, non sono mancati atteggiamenti
contrastanti, alcuni dei quali estremi.
Galeotte furono le vignette
Il 25 settembre, ad esempio, due persone sono state ferite a colpi di mannaia
davanti all’ex redazione della rivista.
Il 5 ottobre, il professore di liceo Samuel Paty, mosso dalle stesse convinzioni
difese a gran voce dal popolo francese, per stimolare un dibattito sulla questione,
ha mostrato alla sua classe le suddette caricature. Si sono susseguito giorni di
protesta, durante i quali il Professore di storia e geografia è stato criticato,
diffamato e minacciato dagli stessi genitori e studenti.
Il 16 ottobre Samuel Paty è stato decapitato al grido di “Allah Akhbar”.

Il professore è morto con la collaborazione di tutti, anche se non consciamente
intenzionati ad incitare alla violenza, con l’innegabile complicità del Far West dei
social network e con buona pace del fatto che i cittadini di religione musulmana
che abitano emarginati nelle banlieue, hanno buona probabilità di esser attratti da
quell’integralismo islamico che promette loro una forma di riscatto verso quel
sistema secolare della République che non ha saputo integrarli ma li ha ghettizzati.

La criticità delle banlieue è un argomento largamente discusso, perché lega il tema
dell’immigrazione al terrorismo. Attenzione, però, perché brulica all’interno
dell’opinione pubblica l’idea semplicistica che i flussi migratori contribuiscano
nettamente allo sviluppo del terrorismo islamico. L’immigrazione clandestina è un
fenomeno che andrebbe gestito più sapientemente ed è capitato, anche
recentemente, che i jihadisti approfittino di tali flussi, ma i dati confermano che
solo in parte i due fenomeni coincidono. Non è corretto confondere i flussi
migratori con l’integrazione.
È forse per il fallimento di quest’ultima che si sviluppano quelle situazioni
all’interno delle quali è facile che si presentino fenomeni di radicalizzazione?
L’assassino di Samuel Paty è un 18enne rifugiato ceceno, quindi non proveniente
da ex colonie. Il giovane, secondo il quotidiano Le Parisien, era in contatto con un
jihadista ad Idlib (Siria).
Il 29 ottobre c’è stato “un attacco terroristico islamista”, come lo ha definito
Macron, nella basilica di Notre-Dame de l’Assomption a Nizza. Tre persone sono
state accoltellate e sono morte per mano di un ventunenne tunisino, sbarcato a
settembre a Lampedusa.
L’impatto sull’opinione pubblica è senza precedenti; così come la reazione del
Governo contro l’Islam radicale. Infatti, dopo l’assassinio del professore, sono
state annunciate numerose espulsioni, ispezioni, chiusure o scioglimenti di diverse
associazioni, tra cui una moschea.
Alcune reazioni e dichiarazioni preoccupano, come già accennato, non pochi
osservatori esterni, all’interno di un clima già scosso dal progetto di legge contro il
“separatismo islamico” voluto da Macron.
Il progetto di legge “Darmanin-Schiappa” si propone di combattere quelle
variabili che contribuiscono a dividere la République e quei cittadini musulmani
che nella Francia marginale scelgono l’Islam come unica legge, perché non si
sentono parte della Nazione. “Il nostro separatismo ce lo siamo costruiti da soli;
l’Islam sta vivendo una crisi in tutto il mondo e lo Stato deve aiutare l’Islam a
ristrutturarsi per essere un parte della Repubblica”, ha affermato il Presidente
francese. Si tratta di una riforma della Legge del 1905 che tocca temi, definiti
“pilastri”, come la neutralità del servizio pubblico, le associazioni e le
organizzazioni all’interno delle quali il fondamentalismo trova terreno fertile, la
scuola, il potenziamento del welfare e di deleghe sul territorio.
La questione del separatismo, il dibattito sulle vignette, i discorsi e le posizioni del
governo sono state percepite da una parte dei musulmani francesi come un attacco
all’Islam, fino a trasportare l’indignazione oltre i confini dello Stato e scaturire
accese proteste in Paesi come Turchia, Bangladesh, Palestina, Iraq, Kuwait,
Yemen, Qatar.

All’interno del quadro sopra delineato, i gruppi radicali, in forma più o meno
organizzata, hanno cavalcato il risentimento dilagante per creare un effetto
mobilitante. Una nuova fonte di energia per un IS indebolito dalla perdita del suo
Califfo, Abu Bakr al Baghdadi ad ottobre 2019, e del lembo di terra nella parte
della Siria orientale, ma rafforzato dall’epidemia di coronavirus che gli stessi
militanti hanno definito “un soldato di Allah”.
I membri situati nelle aree in Medio Oriente hanno sfruttato la pandemia per aumentare e riordinare la loro struttura organizzativa, come aveva previsto Ahmed Kamel Al-Behi?
Da un lato la République vuole combattere il separatismo, dall’altro i jihadisti
sfruttano questo scenario per applicare la sharia e uccidere gli infedeli come
Samuel Paty, i blasfermi di Charlie Hebdo, la promiscuità di chi era quella sera al
Bataclan.